La gioia della misericordia e Pasquale Scimeca, regista

 

La Misericordia è una delle principali qualità di Dio.

Lo è per Abramo, per Isacco e per Giacobbe che stringono la loro alleanza con Dio:

Lo è per Budda che chiama la Misericordia, Compassione:

Lo è per il Profeta Maometto che insegna al suo popolo ad avere Misericordia:

Lo è ancora di più per il Cristo, il figlio di Dio che si fa uomo per redimerci dai nostri peccati, e insegnarci la strada:

Sono L tre i temi centrali che l’umanità si trova ad affrontare agli albori del terzo millennio: la povertà, il rapporto con la natura e la ricerca di Dio, non in senso assoluto e astratto ma in relazione con la nuova consapevolezza che ci impone la conoscenza del nostro tempo.

Temi antichi, in verità, che la filosofia e la teologia hanno sempre affrontato, ma che oggi assumono nuovi significati e nuovi valori:

Nuove orecchie per nuova musica, nuovi occhi per il lontanissimo” è la frase che ben sintetizza lo smarrimento dell’intera filosofia del novecento di fronte allo spettacolo sublime degli uomini che oltrepassano i confini della terra ed esplorano la luna, di fronte alle sonde che atterrano su Marte, di fronte alla scienza che svela i segreti della vita racchiusi nel DNA delle creature che popolano il nostro pianeta.

Quando Pier Paolo Pasolini, parlava della fine della civiltà contadina e dell’avvento della civiltà dei consumi lo faceva da poeta, eppure poneva un paradigma essenziale del nostro tempo che ancora oggi dev’essere sciolto.

La vita di Biagio Conte, l’umile frate laico di Palermo che (come San Francesco) si è spogliato di tutte le ricchezze per dedicare la sua esistenza ai poveri, è insieme il paradigma e la risposta alle domande confuse che ci impongono i nostri cuori e le nostre menti ottenebrate dalla cupidigia del possesso e del denaro.

Biagio è nato nel 1963, quando i valori e i comportamenti della civiltà dei consumi si stavano per affermare come ideologia dominante in tutto il mondo industrializzato.

E’ cresciuto in una città, Palermo, devastata dalla speculazione edilizia. Una città che in poco più di un decennio ha raddoppiato i suoi abitanti e ha alzato steccati di tangenziali, ponti e cavalcavia con la campagna e le montagne che la circondano. Persino col mare, che pur ne lambisce le coste.

Quando Biagio ha 25 anni, Falcone, Borsellino e Padre Puglisi sono ancora vivi e Palermo è una città violenta e corrotta. Il sangue scorre per le strade e la gente volta la testa da un’altra parte. Tutti inseguono i loro incubi (far soldi, ostentare ricchezza, consumare tutte le merci possibili) e gli uomini giusti si possono contare sulla punta delle dita, e sono uomini soli, “voci che gridano nel deserto”.

Biagio, in quegli anni, è un giovane ricco e di bell’ aspetto, che ha una famiglia integra, un lavoro, una ragazza, tanti amici, ma qualcosa gli rode dentro: un senso d’angoscia, uno smarrimento confuso e inspiegabile. Non trova pace in niente. Sente, sempre più forte, il bisogno di fuggire. Sente il vuoto di valori e di senso che i modelli della civiltà dei consumi impongono, sente la città come una prigione, sente che la vita è altrove, e per questo va via, e per questo si mette in cammino.

Se ne va sulle montagne, in mezzo ai boschi, ritorna a quella natura che non è l’arcadia, ma una realtà dura di intemperie, di freddo e di fame, di solitudine e di lotta per la sopravvivenza: è la madre terra che ha cullato i sogni e ha spezzato la schiena alle innumerevoli generazioni che hanno fatto la storia degli uomini. Biagio forse non lo sa, ma la sua fuga, è in realtà un gesto rivoluzionario di assoluta e radicale rottura con il conformismo, l’omologazione, il materialismo e il vuoto di valori di una società che soffoca le coscienze.

Biagio, nel suo eremitaggio tra le montagne, nella lotta primordiale per la sopravvivenza, fortifica il proprio corpo e lo spirito fino a raggiungere un equilibrio con la natura. Ma la sua anima è inquieta, per via di tante domande che lo tormentano senza risposte. Nelle notti stellate, o quando infuria la tempesta e il cielo si offusca di nuvole e poi quando rispunta timido il sole, alza gli occhi verso l’immensità dell’universo e osserva il tempo scorrere quieto, e osserva gli spazi siderali, e la profondità degli abissi. Ed è proprio in questi momenti che sente il bisogno di “nuovi occhi” che gli permettano di guardare verso “il lontanissimo”, che gli permettano di scrutare il volto di Dio.

Ma il volto di Dio è imperscrutabile, il volto di Dio è nascosto agli occhi degli uomini. Solo il suo soffio (e Dio creò l’uomo e vi soffiò la vita …) è percettibile, solo la sua Voce è udibile, come una carezza, come un sussurro sommesso e nascosto nella parola (in ebraico la parola deserto e la parola vocabolo hanno la stessa radice).

Ed è così che Biagio trova Dio, quando le sue orecchie si aprono per ascoltare “nuova musica”, e questa musica è la parola del Cristo .

La parola del Cristo chiude il cerchio del tempo. Lo chiude per i credenti e i non credenti. Chiude il cerchio del tempo che fu e riapre un nuovo cerchio per il tempo presente e per quello che verrà.

La parola del Cristo ha attraversato i secoli e ha accompagnato le nostre vite, il suo spirito ci ha consolati quando eravamo tristi e malati, il suo esempio ci ha permesso di guardare in faccia la morte senza arrossire, nel suo insegnamento (se solo l’avessimo seguito) è racchiuso il segreto della comunità degli uomini, il suo simbolo più alto, quello della croce, è pura poesia di immensa e sublime bellezza.

Nell’epoca in cui Lui è vissuto, la croce era il luogo più diffamante dove si poteva trovare la morte. Solo gli schiavi e chi commetteva i delitti più efferati veniva crocifisso. La crocifissione era la pena più lunga e dolorosa di ogni condanna. Prima di morire si rimaneva appesi per giorni e giorni, in pasto agli uccelli e agli sguardi dei passanti. Gesù, caricandosi la croce sulle spalle ha assunto su di sé il dolore del mondo offeso e ha riscattato i peccati degli uomini di fronte al Padre suo.

Gesù, morendo sulla croce, ha irriso il potere, il denaro e tutte le meschinità ad esso collegate, per aprirci gli occhi sul nostro destino, per predisporre le nostre orecchie all’ascolto della musica sublime che proviene dal fondo della nostra coscienza e s’irradia negli spazi siderali dell’universo…

Biagio non è un eroe, né un Santo. E’ solo un uomo che ha una grande fede in Gesù e che ha assunto come modello di vita San Francesco.

Biagio è un uomo libero, che non possiede niente e non vuole niente: non vuole soldi, non vuole potere, non vuole fama. Biagio è semplicemente un uomo che si è caricato sulle spalle la croce del dolore del mondo offeso, e lo fa con gioia, lo fa con poesia, lo fa donando la propria vita ai poveri, a chi ha bisogno di un pezzo di pane, di un tetto, di una parola di conforto.

Biagio è un uomo che pratica la Misericordia con purezza di cuore e precorre il tempo, quel tempo di una nuova umanità in cammino che Papa Francesco, il Papa che viene dalla fine del mondo, vuole per la Chiesa del terzo millennio, una Chiesa Misericordiosa che, come ci ha insegnato Cristo, cammini al fianco dei poveri, dei miseri, degli afflitti, di chiunque ha bisogno di un pezzo di pane e di una parola di conforto.

Pasquale Scimeca

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